Nel 2023 abbiamo dedicato l’ultimo numero di Alea a David Graeber. Lo speciale raccoglieva quattro saggi dell’autore ancora inediti in italiano, che affrontavano temi come la finanza (leggi: debito), la magia, il gioco e l’immaginazione politica, raccontati con uno stile argomentativo che situava le sue analisi nell’urgenza, personale e creativa, di intervenire contro le strutture e i valori che rendono il nostro presente un interregno morboso. Questa volta il nostro obiettivo sarà leggermente più ambizioso: provare a orientarci all’interno dell’interregno, così da tracciare una mappa dei processi multidimensionali e multisituati che per il momento abbiamo deciso di chiamare provvisoriamente...
Riscaldamento globale, crisi debitorie, fascismi, espropriazioni, guerre regionali, epidemie, violenza di genere sono i sintomi con cui si manifestano le tendenze conflittuali che animano l’interregno. Da un lato i gruppi sociali dominanti – i ricchi o l’1% – si servono di istituzioni economiche e politiche (banche, fondi di investimento, multinazionali, burocrazie ecumeniche e statali, governi) per difendere la credibilità del sistema-mondo capitalista e i suoi processi materiali di accumulazione di profitto. L’ideologia neoliberista ha giocato in questo senso un ruolo determinante nel legittimare il contenimento dei salari, il ritorno a forme di lavoro schiavista e lo sfruttamento del lavoro di cura, restringendo il concetto di sicurezza sociale al controllo della violenza e al rispetto ossessivo delle regole del mercato e della proprietà privata. Dall’altro, emergono movimenti politici, comunità di lotta e sperimentazioni sociali fondate sul rifiuto sistematico delle pratiche e dei valori alla base del modello sociale capitalistico. Stiamo parlando di occupazioni di abitazioni e di fabbriche in liquidazione, fondazione di ecovillaggi, diserzioni dai lavori di merda, e le svariate forme in cui si manifestano le lotte per la giustizia climatica e l’abolizione dei confini. Il loro rifiuto del sistema non si ferma alla sua negazione, ma alla realizzazione immediata di alternative possibili basate su immaginari e pratiche di lotta che non riducono le differenze a processi di identificazione, ma piuttosto a momenti concreti di creatività sociale.
Nell’interregno, dunque, le fantasie del capitalismo sono diventate delle farse spettrali, che diffondono delusione e umiliazione, mentre i processi reali di produzione ed estrazione di materie prime distruggono ecosistemi umani e non-umani. È in questa congiuntura che diventa visibile la reale oscenità del sistema: la violenza e la corruzione attraverso cui i pochi si sono procurati la ricchezza alla base del loro potere sociale non rappresentano la sua perversione, ma la sua sostanza. Il gioco è truccato perché non può essere altrimenti. I nuovi fascismi cercano di rimuovere questa esperienza traumatica alimentando un risentimento illusorio contro gruppi sociali razzializzati e oppressi, che diventano così bersaglio di deliri paranoici e violenze reali. Allo stesso tempo i rifiuti creativi di queste apocalissi programmate cercano di realizzare nell'immediato alternative sociali, senza rimandare la sovversione del sistema all’avvento di un momento rivoluzionario globale.
Il lungo addio è questo: i tentativi violenti e impossibili di salvare l’illusione che maschera il reale stato delle cose e al contempo lo sforzo immaginativo e concreto di realizzare qualcosa di diverso. Li accomuna la consapevolezza che l’addio si è già consumato e che quello che dura è un interregno morboso.
Prendete i discorsi sui mercati che si autoregolano, il valore delle merci che cresce o diminuisce a piacimento, oppure sull’egoismo intrinseco degli esseri umani. Mixateli con il negazionismo climatico, l’ossessione per il petrolio, le nazioni, il declino dell’Occidente, il calo demografico e le migrazioni. Ascoltateli mentre spiegano le rivolte delle periferie e dei ghetti come richieste di trovare lavoro e un posto in società. Oppure mentre riconducono il consumo di stupefacenti alla mancanza di disciplina, all’esaurimento del ruolo riproduttivo della famiglia e della donna-madre. Questi ritornelli fanno del passato un’utopia, inventata e ripulita, in cui era legittimo essere colonialisti, imperialisti, misogini e suprematisti bianchi. Posti di fronte a questo (tragico) buon senso ci si potrebbe chiedere:
→ Chi sono gli intellettuali-performer che (ri)costruiscono questa lore spettrale? A quali saperi, istituzioni e mezzi di comunicazione fanno affidamento per dare credibilità ed efficacia (simbolica) alle loro narrazioni parziali, fatte di categorie inadeguate spacciate per fatti-feticci?
→ Che tipo di passati e futuri vengono reinventati attraverso queste narrazioni spettrali?
→ Ma soprattutto quali condizioni materiali costituiscono la premessa di queste narrazioni e interpretazioni fantasmagoriche delle società contemporanee?
Ricorda: «Gli strumenti del padrone non smantelleranno mai la casa del padrone». Le prigioni non possono essere riformate. I confini non esistono al di fuori della violenza di eserciti e polizia. Le disuguaglianze socioeconomiche non possono essere alleviate all’infinito e delle aiuole non possono rimpiazzare le foreste abbattute per fare spazio a parcheggi, capannoni industriali, allevamenti intensivi e piantagioni. I rifiuti creativi non sono ritirate impegnate ma resistenze creative contro le forme di dominio che plasmano l’interregno. Si manifestano attraverso pratiche di lotta come l’azione diretta, la disobbedienza civile, l’occupazione e lo sciopero selvaggio per istituire nuove possibilità di socialità, al di là di razzismo, patriarcato, eteronormatività, imperialismo e utilitarismo di mercato. Pertanto:
→ Come si occupano fabbriche, boschi, case, università, campi agricoli o prigioni per farne spazi altri, luoghi liberati? Attraverso quali pratiche e saperi ci si assicura che gerarchie e discriminazioni non rientrino dalla finestra?
→ Come si gestisce l’assedio delle istituzioni civilizzate (polizia, burocrazie, tribunali e media)?
→ Che immaginari producono i rifiuti creativi e in quali forme culturali e pratiche sociali si materializzano?
→ Che effetto hanno sullo spazio e il tempo sociale?
L’interregno è fatto di Zone Crepuscolari. Queste differiscono per le modalità con cui vengono istituite, gli immaginari che realizzano e le architetture che le materializzano. Considerate Gaza: la sua istituzione da parte di Israele ha richiesto per anni l’impiego di violenza, propaganda antipalestinese e tecnologie di sorveglianza per realizzare uno spazio(-tempo) di morte e umiliazione. La Zona è in questo senso un luogo di condensazione di immaginari e pratiche che anticipano uno dei futuri possibili dell’interregno. Ci sono poi le Zone rosse con cui vengono amministrate le epidemie o le grandi kermesse come il G7: in entrambi i casi lo spazio sociale viene sanificato da violenza poliziesca e burocrazia. Stessa storia per le Zone economiche speciali con cui i governi cercano di creare le condizioni adeguate al rilancio dell’accumulazione capitalistica. Anche i rifiuti creativi generano Zone. Utopie pirata, isole nella rete, spazi(-tempi) autogestiti: le regole per la loro organizzazione possono variare, ma li accomuna il tentavo di generare luoghi di liberazione in cui affermare forme di socialità inedite o alternative.
→ Che tipo di architetture e tecnologie caratterizzano le Zone e a quali estetiche fanno riferimento?
→ Come si istituiscono le Zone e che tipo di socialità producono tra forme di vita umane e non-umane?
→ Quali immaginari producono le Zone? E per contro, in quali Zone prendono forma spazi-tempi inimmaginabili?
→ In che modo certe tipologie di Zone si affermano come modelli di organizzazione spazio-temporale?
Per questo volume, siamo alla ricerca di contributi originali e innovativi che sappiano mettere a fuoco gli interrogativi rintracciati nelle diverse aree di ricerca. Alea supporta attivamente gli autori e le autrici precarie o a inizio carriera, offrendo dove possibile delle eque remunerazioni economiche per il lavoro editoriale (tipicamente, un articolo può essere retribuito fino a €150).
Per partecipare all'open call, è opportuno tenere in considerazioni le seguenti tipologie di contributi:
Inviaci una sintesi della tua idea in italiano o in inglese (max. 250 parole), insieme a una breve nota biografica (max. 100) e, se possibile, un esempio di lavori o pubblicazioni precedenti.
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